Il numero 2 di Giona, rivista-libro che sonda gli abissi della letteratura, rende omaggio a quattro scrittrici italiane della prima metà del Novecento ingiustamente finite ai margini della storia letteraria (Maria Messina, Ada Negri, Paola Drigo, Eugenia Codronchi Argeli) pubblicando una selezione dei loro racconti più belli.
Le donne di Negri, Messina, Drigo e Codronchi Argeli hanno in comune una sconfinata solitudine, prima di tutto interiore, in un mondo – quale era l’Italia di allora – dall’impronta ancora patriarcale, dove il posto della donna era in casa, ad accudire la famiglia, o al lavoro, sfruttata, e comunque sempre all’ombra del padre o del marito. L’alternativa era l’emarginazione, come per la Nanna protagonista di L’amore di Paola Drigo.
Maria Messina, siciliana, fu molto apprezzata da Giovanni Verga e Giuseppe Antonio Borgese; in seguito, negli anni Ottanta, fu riscoperta da Leonardo Sciascia che la definì “una Mansfield siciliana”.
La prosa asciutta, intima e dolente di Ada Negri, lombarda, fu molto apprezzata, tra gli altri, da Cesare Pavese.
La veneta Paola Drigo, dal canto suo, nonostante il successo che ebbe in particolare con il romanzo Maria Zef (1936), dal quale furono tratti due film (uno diretto da Luigi De Marchi nel 1953 e uno per la regia di Vittorio Cottafavi, nel 1981), è finita per anni nel dimenticatoio e solo di recente si è assistito alla ristampa di alcune sue opere presso piccoli editori come Il Poligrafo e Carabba, grazie anche al lavoro prezioso di Patrizia Zambon.
Sulla romagnola Eugenia Codronghi Argeli, invece, a parte qualche racconto incluso in un paio di antologie pubblicate da Bulzoni negli anni Novanta, regna ancora il silenzio.